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La terapia via Skype: quando, come e perché?!

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Incontrarsi e avere scambi comunicativi nello spazio virtuale messo a disposizione da diverse piattaforme on line, è oramai esperienza comune e quotidiana per la maggior parte di noi, tanto in contesti formali quanto informali: ci si videochiama tra amici e parenti, si riceve assistenza tecnica con aziende e Pubbliche Amministrazioni via chat, si fanno riunioni di lavoro via Skype, etc.

Se consideriamo che alcuni dati di qualche anno fa (Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2015) rilevavano che ben 11 milioni e mezzo di utenti in Italia fa ricerca sulla propria salute on line, possiamo avere un’idea di quale sia la situazione attuale e della ricaduta nell’ambito della salute mentale. Essere reperibili su internet per un terapeuta vuol dire rendere più accessibili i propri servizi e, allo stesso tempo, poter raggiungere più facilmente l’utenza. Questo diventa ancora più evidente quando è lo stesso servizio offerto ad essere on line.

 

Consulenza psicologica e terapia via Skype

Basta fare un giro sulla rete per rendersi conto di quanto sia ormai diffusa l’offerta di consulenza psicologica e psicoterapia on line. Parallelamente allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla conseguente maggiore familiarità che ciascuno di noi (volente o nolente) ha preso con i mezzi informatici, c’è stata un’evoluzione anche nel settore dei servizi psicologici: fino a qualche tempo fa, questa prassi era vista con sospetto dagli stessi professionisti, abituati a un setting e contatto vis a vis, mentre ultimamente è entrata a pieno titolo tra le possibili modalità in cui “incontrare” l’utenza e prendersene cura, tanto che il Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi ha stilato delle specifiche linee guida.

 

Quando è utile Skype in una psicoterapia

Personalmente, da un po' di tempo mi avvalgo di Skype come risorsa in terapia. Mi spiego meglio: non avvio terapie via Skype sin dalla prima seduta (ossia con persone che non ho mai conosciuto e seguito vis-a-vis), bensì lo utilizzo in specifici momenti del percorso per continuare a seguire la persona che “non può” essere fisicamente presente a studio. La durata della fase on line della terapia non è definibile a priori, può essere più o meno prolungata, a seconda del caso. In altre parole, faccio sempre una valutazione clinica che deve dare sostegno e significato terapeutico alla scelta della modalità on line in quel particolare momento della terapia e per quella specifica persona.

In linea generale, posso dire che la modalità on line:

  • non può essere un sostituto/equivalente dell’incontro vis-a-vis;
  • può essere un prezioso strumento per mantenere la relazione terapeutica in periodi in cui raggiungere lo studio del professionista non è possibile o è estremamente “faticoso” (es: sintomi psicologici invalidanti, impedimenti fisici, trasferte/trasferimenti, etc.)

Più volte ho utilizzato Skype per proseguire terapie già avviate con giovani studenti (per esempio durante un periodo di Erasmus o nella delicata fase di rientro a casa dopo la laurea) o con lavoratori mandati dalla propria azienda in trasferta per brevi periodi. 

 

Come si svolge una terapia on line?

Rispetto al setting temporale cambia poco: le sedute hanno la durata di circa 50 min, e avvengono a un orario (possibilmente fisso) con cadenza regolare (solitamente settimanale).

Attraverso il supporto della piattaforma Skype paziente e terapeuta possono parlarsi e vedersi.

Dunque…cosa cambia?!

 

Cosa cambia in una terapia on line rispetto ad una terapia "standard"

Beh, inutile dirlo, la comunicazione avviene “a distanza”, attraverso uno schermo, che “filtra” lo scambio. Il sensoriale e il non verbale sono accessibili solo in parte.

La mancanza di un contatto fisico (penso per esempio, banalmente, alla stretta di mano con cui spesso ci si saluta a inizio e fine seduta), così come di informazioni olfattive o in parte visive (generalmente l’inquadratura è limitata al volto, per cui non si può per esempio apprezzare la postura o particolari movimenti della persona), la facilità con cui si incontra l’altro (senza la “fatica” e la “preparazione” del recarsi fisicamente a studio), sono tutti elementi che possono rendere “meno coinvolgente” l’incontro, smorzandone in parte l’impatto emotivo.

Lo stesso terapeuta deve prestare maggiore attenzione e impegno per immergersi adeguatamente nello scambio, sentire la presenza e le emozioni del paziente “come se” si trovasse in stanza. Inoltre, a seconda dell’approccio e del modello teorico che utilizzata, può trovarsi di fronte ad alcune “limitazioni tecniche”.

Nel mio caso, per esempio, alcuni “strumenti” a cui ricorro abitualmente a studio, e che sono parte integrante e arricchente di un percorso sulle relazioni familiari, non sono altrettanto facilmente utilizzabili a distanza: il lavoro sul genogramma, oppure con le foto, così come con le sculture, sono momenti esperienziali che si alimentano di una emotività e fisicità che hanno bisogno dell’incontro vis a vis con il terapeuta.

Un’altra differenza, interessante e utilizzabile ai fini del lavoro terapeutico, è che la persona fa in un certo senso entrare il terapeuta dentro il proprio spazio domestico: è come se aprisse una finestra sulla propria realtà quotidiana e intimità. Certamente questo implica anche che è necessaria una maggiore collaborazione tra paziente e terapeuta per tutelare il setting e, per esempio, proteggerlo da eventuali intrusioni.

Per il resto, tutto si svolge come in una seduta classica e, soprattutto, diversi studi dimostrano che tra terapia on line e in presenza non vi è differenza in termini di efficacia.  

 

Quando non è opportuna una terapia online?

Premesso che non esprimo alcun giudizio negativo sui numerosi colleghi che effettuano terapia on line (riferendomi a quanti lo fanno, ovviamente, con un pensiero clinico e un’etica professionale) e che non escludo di avventurarmi anch’io un giorno in questo terreno, ribadisco che la mia attuale scelta professionale è un’altra: ritengo di poter utilizzare efficacemente Skype per eventuali consulenze psicologiche, mentre per la terapia solamente come risorsa all’interno di un percorso già avviato, ossia in specifiche e circoscritte fasi del processo terapeutico.

Tentando una semplificazione, alcune situazioni in cui ritengo non opportuno l’utilizzo di Skype sono:

  • setting di coppia o famiglia (per via della complessità relazionale, difficilmente “gestibile” dal terapeuta a distanza);
  • psicopatologie gravi che richiedono una presenza e conoscenza del terapeuta rispetto al territorio di appartenenza del paziente (per eventuale lavoro di rete con i servizi, incontri con i familiari, etc.);
  • persona che richiede la modalità on line per “comodità” (di tempo e organizzazione) o per sentirsi maggiormente a proprio agio (privacy, imbarazzo).

Nonostante, come ovvio, le situazioni vadano sempre valutate caso per caso, in linea generale non è predittivo di un buon lavoro terapeutico cercare delle “scorciatoie”: credo che la terapia passi anche attraverso la “fatica” dell’incontro autentico e completo con il terapeuta in carne e ossa. Il tempo necessario a raggiungere lo studio è un tempo di preparazione che dà senso e valore al movimento che si sta compiendo, che lascia spazio alle emozioni dell’attesa e poi dell’elaborazione. In una società che ci vuole efficienti e onnipresenti ma in modo frammentato e virtuale, la psicoterapia batte un altro tempo: è il tempo dell’essere, della presenza.

In questa cornice, nelle situazioni che lo rendano utile senza mirare ad una sostituzione del reale, Skype rappresenta una preziosa risorsa: il percorso terapeutico in precedenza svolto da terapeuta e paziente permetterà loro di “aggirare” alcune limitazioni del virtuale e vivere con maggiore pienezza l’incontro terapeutico.