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Genitorialità e maternita “a rischio”

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La nascita del primo figlio fa entrare la coppia in un nuovo stadio del proprio ciclo vitale e sancisce in un certo senso in modo definitivo il passaggio dei coniugi nell’età adulta. Si tratta dunque di un cambiamento con un notevole impatto psicologico, sia sul piano individuale che di coppia (senza trascurare l’effetto più ampio sul sistema della famiglia allargata in cui compaiono ruoli nuovi per zii, nonni, etc.). Nella rappresentazione sociale la coppia diventa solo in questo momento una “vera” famiglia, legata in modo definitivo da un ruolo -quello genitoriale- che è per sempre.
Come è facile immaginare, il nascituro è quindi caricato di grandi aspettative e, specie quando arriva a tarda età per la donna (che ha magari dato spazio fino a quel momento e con fatica alla propria realizzazione personale e lavorativa), diventa facilmente la rappresentazione di un “bene prezioso”, quasi unico e irripetibile.
In un contesto emotivo di questo genere aumentano anche le aspettative che i neo-genitori (e in particolare la madre) hanno su di sé e sulla propria “capacità” di essere adeguati nel nuovo ruolo.
Ovviamente le risorse a disposizione di ciascun genitore variano molto a seconda del contesto. In ogni caso, anche nelle situazioni “normali”, possono non essere sufficienti a contrastare adeguatamente tale pressione: per esempio perché nel passaggio dalla famiglia patriarcale a quella nucleare è quasi venuta meno per la donna la possibilità di avere nella famiglia estesa un contenitore per le proprie angosce e un sostegno pratico. Capita quindi spesso che la neomamma si trovi sola ad affrontare un momento cruciale e sconosciuto della propria vita, in cui cambia il proprio corpo, nasce un nuovo ruolo, etc.
Inoltre, sebbene attualmente la nascita di un figlio sia quasi sempre il risultato di una scelta consapevole e una forma di realizzazione personale da parte dell’adulto, non vanno dimenticate situazioni differenti in cui la gravidanza non è desiderata e cercata, oppure si colloca in un contesto familiare di particolare fragilità che rende ancora più faticoso -per le diverse figure coinvolte, non solo per la madre- affrontare le sfide che questa fase di passaggio pone: pensiamo, per esempio, a famiglie monogenitoriali, a contesti di estremo disagio socio-economico, oppure a situazioni in cui uno dei due genitori è molto periferico e assente o estremamente inadeguato nella sua funzione genitoriale (magari perché in carcere, tossicodipendente o affetto da un disturbo psichico importante).
E’ chiaro che in queste circostanze aumentano i cosiddetti “fattori di rischio” mentre diminuiscono i “fattori di protezione”, ossia le risorse a disposizione del sistema-famiglia. Ovviamente è importantissimo focalizzarsi su quest’ultime, individuarle e promuoverle.
In quest’ottica, lì dove il disagio sia importante e la rete familiare e sociale di sostegno (anche solo momentaneamente) non sufficienti a contenerlo e trasformarlo, è utile rivolgersi all’esterno, sia esso rappresentato da un libero professionista o dal consultorio di riferimento.
Difatti, per esempio, un intervento precoce sulla relazione caregiver-bambino può essere estremamente importante, andando a ridurre lo stress e il conflitto e rafforzando il processo di sviluppo nell’interazione, lì dove (per ragioni differenti, di cui alcune ipotizzate sopra) vi siano scambi interattivi caratterizzati da modalità di cura incoerenti, instabili o scarsamente sensibili: il genitore può essere aiutato nella difficoltà a sintonizzarsi con il proprio figlio e i suoi bisogni, nella gestione del senso di frustrazione e incompetenza che può avvertire di fronte ad atteggiamenti di rifiuto del bambino, etc. Potrà così sperimentare che la genitorialità è una competenza che si costruisce (e non acquisita per dna!) attraverso un processo circolare, in cui cioè i figli non hanno un ruolo passivo, ma di scambio. Inoltre, poiché attraverso il rapporto con il proprio bambino si rivive la propria infanzia e riemergono i modelli di attaccamento sperimentati con le proprie figure di riferimento, è possibile lavorare anche su questo aspetto (per esempio in un setting psicoterapeutico).
Quando possibile l’intervento sarà rivolto ad entrambi i genitori per dare loro un sostegno rispetto ad eventuali difficoltà nella gestione di alcune sfide - i cosiddetti “compiti di sviluppo” - poste dalla nascita di un figlio:

  • stabilire confini chiari tra il sistema coniugale e quello genitoriale;
  • prendersi cura del bambino;
  • fornire un valido modello di attaccamento affettivo ed educativo al figlio;
  • ristrutturare le relazioni con i propri genitori;
  • individuare le diverse regole del ruolo e delle funzioni dei nonni e dei genitori;
  • ridefinire i rapporti con l’ambiente esterno (lavoro, amicizie) in base alle esigenze della famiglia.

 

Le possibili aree critiche sono dunque tante, ma altrettanti sono i possibili percorsi di aiuto da attivare per affrontare le difficoltà e riattivare le risorse presenti nel genitore e nel contesto di appartenenza.

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