Psicologa Roma by

Lo psicologo a scuola: cosa può fare e come

Scritto da Laura Dominijanni

Uno dei contesti in cui il contributo dello psicologo è sempre più necessario e prezioso è indubbiamente la SCUOLA: luogo affettivo e sociale in cui i ragazzi crescono e vivono oltre che “imparare” e in cui il loro disagio può quindi prendere forma e spazio, ma anche sistema con le proprie regole, obiettivi e organizzazione al cui interno devono trovare collocazione - alla ricerca di un sano e complesso equilibrio - i diversi membri di cui è composta e che le gravitano attorno (alunni, docenti, dirigenti, personale ata, genitori, etc.), nonché istituzione profondamente colpita da anni di politiche disattente.


I possibili livelli di INTERVENTO sono molteplici:

  • individuale (sportelli di ascolto rivolti ad alunni, insegnanti, genitori);
  • gruppo classe (laboratori espressivi, progetti di alfabetizzazione emotiva, integrazione, prevenzione al bullismo, condotte adolescenziali a rischio, etc.);
  • corpo docente (corsi di formazione su comunicazione efficace, didattica inclusiva, psicopedagogia, disturbi dello sviluppo, BES, prevenzione burn-out etc.);
  • gruppo genitori (corsi di formazione su DSA, disturbi dello sviluppo, etc.);
  • sistemico (progetti multi-livello che prevedono cioè un intervento indirizzato a diversi livelli del sistema-scuola, con un focus sulla relazione tra genitori, insegnanti e alunni).

Se pensiamo al disagio presente negli alunni, l’opportunità di intervento a scuola è legata a diversi fattori:

  • innanzitutto c’è un’emergenza importante per quanto riguarda l’incidenza e la pericolosità delle condotte patologiche. Per dare un’idea: l’anoressia-bulimia colpisce circa 200mila ragazze ed è la prima causa di morte nelle adolescenti tra i 12 e i 25 anni, gli incidenti stradali la seconda e gli «agiti autolesivi» la terza (dati Istat); il 16% degli undicenni consuma abitualmente alcol; aumentano gli atti di bullismo a scuola, coinvolgendo un adolescente su cinque (ricerca svolta nell'ambito del progetto comunitario E-Abc Antibullying Campaign).
  • inoltre, molte condotte patologiche e disagi presenti in bambini e ragazzi, nonché gli stessi disturbi dello sviluppo, hanno una forte matrice relazionale e contestuale, per cui è importantissimo agire nella scuola in cui si manifestano e alimentano (e a volte insorgono).


Esiste però anche un sempre più forte disagio degli insegnanti, a volte schiacciati e scoraggiati dalla crescente burocratizzazione del loro ruolo e dalla mancanza di investimenti e riconoscimento sociale, spiazzati dal venir meno del patto di fiducia con le famiglie, in difficoltà nella gestione di classi e alunni “nuovi”, sempre più “interattivi” o portatori di Bisogno Educativi Speciali cui far fronte in modo competente. Insomma, le sfide per gli insegnanti di oggi sono numerose e il possibile contributo di uno psicologo prezioso per:

  • trasformare le spinte oppositive che si generano più o meno consapevolmente (sotto forma di insoddisfazione, passività, atteggiamento critico e distruttivo, creazione di sottogruppi e coalizioni, etc.) attraverso la promozione di senso di appartenenza e collaborazione tra colleghi;
  • allenare le competenze relazionali trasversali (tecniche di comunicazione efficace da “spendere” nella relazione con colleghi, dirigente, alunni, genitori, etc.);
  • fornire strumenti di intervento (tecniche di didattica inclusiva, pedagogia speciale per DSA, etc.) e lettura del contesto e del disagio che diano un senso di autoefficacia agli insegnanti.


C’è anche un disagio dei genitori, nella gestione delle problematiche dei figli e nel rapporto con la scuola, spesso eccessivamente delegata del ruolo educativo e poi attaccata.

Personalmente, in virtù di ciò che vedo quando guardo il mondo della scuola e del tipo di richieste che mi giungono, credo che i progetti multi-livello siano i più efficaci, perché in grado di rispondere alla complessità del sistema, mettendone in relazione i “pezzi”: i genitori devono sì fare gruppo e conoscere più da vicino le problematiche dei figli, ma anche rapportarsi adeguatamente con la scuola, fare squadra con gli insegnanti per proporsi in termini coerenti e affidabili ai ragazzi; gli insegnanti dal canto loro, oltre a superare i sottogruppi tra colleghi e trovare strategie efficaci di gestione della classe, devono riuscire ad aprire una comunicazione più efficace con le famiglie; infine i ragazzi devono trovare uno spazio di crescita e sperimentazione di sé e del gruppo adeguato, in cui le differenze possano venire accolte, sentendo di avere a che fare con adulti affidabili, attenti e partecipi piuttosto che spaventati e difensivamente autoritari. Agire solo su un livello o una parte del sistema è come prendere un antinfiammatorio per un dolore articolare: il sintomo probabilmente si allevierà o passerà del tutto, ma se la sua origine è legata anche a qualcosa di meno localizzato e più sistemico (es.: a una postura scorretta e a un uso insufficiente della muscolatura addominale) è probabile che senza un adeguato allenamento a diversi livelli il problema ricomparirà, magari in un altro punto…

Purtroppo, a fronte di un bisogno crescente dello psicologo a scuola, la sua presenza è lasciata per lo più alla sensibilità e disponibilità dei dirigenti scolastici (che possono attivarsi per finanziarne progetti e iniziative con i fondi per l’autonomia o partecipando a qualche bando regionale, europeo, etc.): in altre parole la figura dello Psicologo Scolastico – diversamente da altri Paesi – in Italia non è prevista come obbligatoria e questo fa sì che la sua presenza sia spesso spot e quindi meno efficace, oppure legata a un’urgenza. E’ facile che in questi casi ci sia una totale “delega all’esperto”, chiamato per risolvere (quasi miracolosamente!) specifiche problematiche: lo psicologo deve analizzare e trasformare tale richiesta per far uscire i committenti (docenti, dirigenti, genitori) dalla posizione passiva in cui si trovano. In altre parole, un cambiamento è possibile solo se c’è una reale disponibilità a mettersi in moto, riprendere potere e responsabilità, rivedere i propri modelli organizzativi e comunicativi lasciandosi guidare dall’”esperto”, il cui ruolo è quello di catalizzatore e non di attore protagonista.


Quando ciò avviene il processo di crescita che si innesca è notevole: ricordo, per esempio, lo stupore e il turbamento di un insegnante che, dopo un role-playing in cui vestiva i panni di un’alunna, riportò forti emozioni di imbarazzo, insicurezza e rabbia “sorprendentemente” vissute durante la simulazione di un’interrogazione difficile. A volte per guardare le cose da un’altra prospettiva (e sentirne quindi poi le emozioni, comprenderne i comportamenti che ne derivano) è necessario cambiare concretamente posizione…per poi tornare alla propria.
Lo psicologo, tra le tante cose, può aiutare a fare questo.

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