Psicologa Roma by

Genitori e insegnanti si trovano spesso in difficoltà quando hanno a che fare con bambini oppositivi, che non rispettano le regole, che fanno confusione o che adottano comportamenti apertamente problematici.

Le reazioni più comuni e, ahimè, generalmente anche poco efficaci, sono:


- sgridare;
- fare le prediche;
- minacciare (spesso senza poi far seguire i fatti alle parole);
- punire.

In queste circostanze - come molti ben sapranno per via della propria esperienza diretta - circolano emozioni di rabbia e frustrazione sia nell’adulto che nel bambino, presi in una sorta di fallimentare braccio di ferro per il controllo della situazione.


E’ opportuno, proprio a tal proposito, porsi una domanda: perché i bambini “non si comportano bene”?


Una prima considerazione è che il desiderio di compiacere l’adulto conformandosi ai suoi desideri deve spesso fare i conti con la spinta verso l’autonomia: i bambini vogliono avere la sensazione di poter controllare la situazione!
Inoltre, diciamo la verità: comportarsi bene in genere richiede più impegno che comportarsi male! Pulire e mettere in ordine una stanza non è divertente come fare confusione, mettersi silenziosamente in fila per uscire dalla classe è più faticoso che muoversi disordinatamente chiacchierando con i compagni.


Risponde lo psicologo: come rendere efficace premi e punizioni 


Proprio per questi motivi, come ormai ampiamente condiviso dagli esperti del settore, sappiamo che: se si vogliono modificare specifici comportamenti è più efficace ricorrere a strategie che si basano su premi piuttosto che su punizioni!
I bambini sono infatti molto più motivati a fare qualcosa se così facendo ottengono un risultato positivo: “controllano” in tal modo la situazione attraverso il proprio comportamento e hanno una gratificazione per la fatica impiegata.


Le punizioni (date in risposta al non aver fatto quanto atteso) vanno invece usate solo in caso di necessità perché, sebbene possano agire da deterrente, non è escluso che inneschino dei comportamenti problematici, dettati dal risentimento e dalla frustrazione. Inoltre non fanno migliorare l’autostima del bambino. E’ comunque sempre auspicabile che coincidano con perdite di privilegi (es.: divieto di vedere la tv la sera), piuttosto che con l’obbligo a fare cose indesiderate (es: operazioni di aritmetica supplementari).
Inoltre, per quanto riguarda i premi, c’è da evidenziare che:

- forniscono ai bambini un incentivo temporaneo a provare nuove modalità di comportamento;
- possono essere concordati con il bambino, dandogli così l’attenzione e il “controllo” di cui ha bisogno;
- possono essere beni materiali, ma anche attività (per esempio tempo di gioco esclusivo con mamma o papà o con i compagni di classe);
- dovrebbero essere cose attraenti ma piccole (sebbene commisurate allo sforzo richiesto al bambino).

 

I programmi di gratificazione suggeriti dallo psicologo

Un modo per sfruttare il “potere” dei premi è quello di inserirli all’interno di un vero e proprio programma di gratificazione, da creare “ad hoc” per il bambino (o gruppo classe) che presenti particolari comportamenti problematici: tenendo conto di variabili quali temperamento, età, interessi e contesto, si dovrà pensare in modo creativo a un programma che motivi il bambino facendogli sentire che quello è il “suo” programma (di cui si terrà traccia attraverso opportuni tabelloni o simili).

Il primo passo, però, è decidere esattamente quali comportamenti modificare (quelli cioè che si verificano “ogni volta che”, creando disagio, confusione, conflittualità), scomponendo eventualmente il comportamento problema in componenti più piccole e partendo quindi da quelle più semplici. Se, per esempio, il comportamento che si vuole modificare è che il bambino lasci in ordine la propria stanza prima di andare a cena, evitando i continui richiami della mamma, bisognerà individuare alcune azioni specifiche (meglio non più di un paio) che dovrà compiere (es.: rimettere tutti i giochi nelle relative scatole, in massimo 5 minuti). Dovrà poi essere chiaramente stabilito anche il premio, le sue caratteristiche e le condizioni per ottenerlo.


Per utilizzare efficacemente dei programmi di gratificazione bisogna essere:

- positivi
lodare (in modo credibile, dunque non sproporzionato) i comportamenti positivi, comunicare fiducia al bambino rispetto alle sue capacità di comportarsi adeguatamente, premiarlo sempre quando ciò accade.
- coerenti
rispettare sempre quanto concordato nel programma, in altre parole dimostrare al bambino che “si fa sul serio”
- realistici
gli obiettivi definiti devono essere realistici e raggiungibili per il bambino che, altrimenti, perderà la motivazione.

 
Questo tipo di intervento è generalmente efficace per bambini tra i 3 e i 10 anni e può essere utilmente applicato per comportamenti quali: conflittualità tra fratelli, difficoltà a finire i compiti, comportamento inadeguato a tavola, etc.
Un particolare tipo è il sistema a punti strutturato, di cui parlerò in un successivo contributo.
Invitandovi a cambiare ottica, dando cioè più spazio ai rinforzi positivi e meno a rimproveri e punizioni, vi lascio ora sperimentare i cosiddetti “vantaggi invisibili” che ciò comporta:

- i bambini aumentano la propria autostima
- l’adulto viene percepito come persona equa, chiara e affidabile
- le interazioni con adulto-bambino diventano più piacevoli


Dunque, buon “gratificante” lavoro a tutti! 

 

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Genitori e insegnanti si trovano sempre più spesso alle prese con bambini “difficili”. In quest’occasione penso, in particolare, a quelli che esibiscono un comportamento oppositivo-provocatorio, che può iniziare a presentarsi già dai 3 anni ma che diventa in genere più evidente e “problematico” con l’ingresso a scuola, quando aumentano cioè le richieste di adattamento alle regole.
Questi bambini:

  • litigano frequentemente con i pari
  • sfidano richieste e limiti posti dagli adulti
  • sono collerici, accusano gli altri se rimproverati, mostrano rancore e offendono

 

In classe hanno una gran maestria nel fare andare a monte qualsiasi tipo di attività, anche se ben organizzata: scatenano risate generali, innervosiscono i compagni, assumono un atteggiamento di passivo rifiuto o di sfida aperta nei confronti degli insegnati. Inoltre, volendo sempre stare al centro dell’attenzione, hanno difficoltà anche nel contesto ludico: faticano nella collaborazione di squadra e nel rispettare l’alternanza dei turni.
Se la modalità comportamentale ostile si presenta in modo ricorrente e per almeno 6 mesi la si può definire come un vero e proprio disturbo. In ogni caso, anche di fronte a una forma “non clinica”, le questioni che si presentano all’adulto sono le stesse: come estinguere o far diminuire i comportamenti problematici che, come facilmente immaginabile, producono una compromissione del funzionamento scolastico e sociale e, quindi, anche problemi di autostima nel bambino? In altre parole: cosa fare?
E’ evidente che prendersene cura è molto difficile: sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.
Eppure genitori e insegnanti hanno degli strumenti a cui ricorrere, esistono delle STRATEGIE!
Partiamo da cosa non fare, ossia da alcuni “errori educativi” comuni, da evitare perché possono facilitare l’insorgenza o il mantenimento di condotte oppositivo-provocatorie:

  • permissivismo: la mancanza di regole definite impedisce al bambino di capire quali saranno le risposte dell’adulto alle sue azioni;
  • incoerenza: alternare punizioni e ricompense senza una ragione chiara, lasciandosi condizionare dal proprio stato d’animo (piuttosto che dall’oggettivo comportamento del bambino) lo disorienta;
  • iperprotezione: il controllo genitoriale eccessivo ostacola la crescita socio-cognitiva del bambino che, insicuro, può reagire con atteggiamenti di ribellione e sfida dell’autorità adulta;
  • uso eccessivo delle punizioni: ponendosi come modello d’apprendimento, la punizione rafforza la tendenza del bambino a risolvere i conflitti e imporre la propria volontà attraverso l’aggressività.

 

E ora COSA FARE: 

  • concordare e far rispettare poche regole chiare che tutti dovranno osservare in casa o a scuola, evitando la forma negativa (es.: “parlare a voce bassa” invece di “non gridare”);
  • preferire i premi (per i comportamenti positivi, anche piccoli, che conducono alla condotta desiderata) alle punizioni e darli in breve tempo, altrimenti l’effetto comportamentale svanisce;
  • scegliere le punizioni (comunque mai fisiche) solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri);
  • preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o usare il pc) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole);
  • ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”;
  • spiegare al bambino le motivazioni che rendono inadeguata la sua condotta, senza formulare giudizi (per non gravare sulla sua già bassa autostima) e suggerire modalità alternative indicandone i vantaggi;
  • individuare e agire sugli antecedenti del comportamento problematico (attenuare o modificare l’esposizione alle situazioni che normalmente conducono a comportamenti oppositivi).


Insomma, in sintesi, ogni comunicazione (regole, comandi, rimproveri) deve essere data nel modo più possibile diretto, chiaro e semplice, senza formulare giudizi sulla persona (per es. “avevamo stabilito questa regola, tu l’hai infranta, quindi, come avevamo stabilito devi rinunciare a questo” invece di “sei stato cattivo, ora niente tv!”; oppure “bravo, hai apparecchiato la tavola senza fartelo ripetere due volte, ti meriti un premio”, invece di “bravo, oggi ti sei comportato bene”). Inoltre, è possibile pensare di strutturare un programma a punti, guadagnati e persi in funzione di premi e punizioni. In quest’ultimo caso, però, è particolarmente importante che l’adulto assicuri al bambino la massima coerenza e impegno nel monitorarne il comportamento.


Questi “terribili” bambini hanno insomma bisogno di limiti chiari entro cui muoversi, di sperimentare che possono essere gratificati e ricevere riconoscimento (affettivo e sociale) quando agiscono comportamenti positivi e di aggregazione. Hanno cioè bisogno di aumentare la propria autostima attraverso la relazione con l’altro e la costruzione di legami duraturi su cui far affidamento (invece di distruggerli). In questo percorso gli adulti hanno un ruolo fondamentale.


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