Psicologa Roma by

A settembre se ne fa un gran parlare, del resto è esperienza piuttosto comune affrontarla: è la temuta “crisi da rientro”,  un mix di emozioni e pensieri negativi, spesso accompagnati da veri e propri sintomi fisici di intensità variabile che rendono faticosa la ripresa della routine dopo la pausa estiva.

La psicosomatica espone in questo caso tutta la sua merce migliore: mal di testa, problemi digestivi, dolori muscolari, insonnia, astenia… Inoltre, ci si può sorprendere più nervosi e ansiosi, instabili di umore e avere difficoltà di concentrazione e attenzione. Lo stato emotivo può virare verso la depressione, tanto che alcuni studiosi  hanno formulato l’etichetta di “post vacation blues” per definire questa condizione di malessere. 

Un disagio piuttosto articolato e importante, dunque, che è stato invece a lungo sottovalutato e disconosciuto. Ultimamente, però, sta assumendo un’identità più chiara e riconosciuta: sembra coinvolgere diverse persone, anche i più giovani, addirittura i ragazzi al rientro a scuola.

Da un punto di vista psicologico, del resto, riprendere i ritmi della quotidianità può avere tante implicazioni e significati. Ci si ritrova nuovamente a contatto con il “dovere”, con le aspettative (altrui e proprie), con gli impegni, spesso immersi in ritmi frenetici e “schemi” dentro cui si può sentire di avere poca libertà di movimento e riposo. Riprende la scuola, il lavoro, la palestra, la gestione quotidiana della casa, il traffico, le corse… Può accadere di non sentirsi capaci o spaventati dal doversi nuovamente confrontare con delle situazioni relazionali difficili (con i colleghi, il capo, i compagni di scuola, gli insegnanti, etc.) o semplicemente all’idea  di non riuscire a conciliare il dovere con il piacere e la cura di sè. Il corpo e la psiche allora parlano attraverso i sintomi, segnalano dei bisogni: sembra che cerchino di rallentare la ripresa e di indicare una via per integrare e non perdere per strada­ quanto di buono esperito durante le vacanze. Quanta sapienza nella nostra unità mente-corpo!

 

Come prevenire o ridurre la "crisi da rientro"

Vediamo però COME “PREVENIRE”, o comunque ridurre in termini di intensità, questo stato di affaticamento, ansia e depressione che può accompagnare il passaggio dalla pausa estiva alla ripresa:

  • Prolungare il più possibile le vacanze evitando di spezzettarle: per ricaricarsi è necessario immergersi in ritmi e contesti nuovi e rilassanti. Ovviamente non è necessario andare fisicamente lontano, ma sì “rompere” gli schemi, come si suol dire “cambiare aria” (anche solo frequentando persone diverse o dedicandosi ad attività piacevoli).
  • Rientrare progressivamente: è utile crearsi dei cuscinetti tra le vacanze e la ripresa, darsi del tempo per abituarsi, accelerare i ritmi gradualmente. Non farlo fa sì che sia il corpo poi a parlare e rallentarci attraverso i sintomi!
  • Iniziare un eventuale percorso psicologico prima dell’estate: piuttosto che lasciarla tra i “buoni propositi” che incombono sul calendario di settembre, può essere una scelta saggia non rimandare e prendere in mano una situazione di disagio e malessere che ci affatica e/o angoscia. Questo ci alleggerirà e potrà essere di aiuto anche al momento della ripresa della routine, quando la relazione terapeutica sarà già avviata e pronto ad accoglierci.

 

Gestire la "crisi da rientro" trasformandola in opportunità

Quando la crisi da rientro è attiva, in ogni caso, può metterci di fronte a delle OPPORTUNITA’ da cogliere:

  • Coltivare uno stile di vita più sano: la fatica che facciamo a stare nuovamente per tante ore fermi e al chiuso in ufficio, o in mezzo al traffico, ci segnala alcuni nostri reali bisogni a cui in vacanza diamo “spontaneamente” ascolto ma che tendiamo invece poi a soffocare. Possiamo provare ad approfittare dell’esperienza positiva che abbiamo maturato per trasportarla nel quotidiano della routine. Insomma, per dirla con una metafora “non scendere dalla bicicletta finche è in movimento” perché si sa che poi risalirci è più dura e si tende ad accomodarsi su altri mezzi…Duqnue continuiamo a camminare all’aperto e in mezzo alla natura quando possibile, riduciamo l’uso della macchina, facciamo dello sport, mangiamo cibi buoni e sani piuttosto che preconfezionati e precotti, leggiamo un buon libro piuttosto che passare ore alla tv o pc etc. Il nostro corpo-mente ci ringrazierà e si reinserirà nella routine in modo nuovo e meno faticoso.
  • Darsi obiettivi raggiungibili e motivanti. Se ciò che la sindrome da rientro segnala è innanzitutto una fatica a confrontarsi con qualcosa che si sente come “troppo” o “ineludibile”, allora sarà utile muoversi verso obiettivi a misura delle proprie energie e soprattutto verso mete realmente desiderate. La ripresa dopo la pausa estiva è il momento migliore per avviare con passione dei progetti personali, o anche per iniziare a dedicarsi a quell’hobby per cui non si è mai trovato il tempo. Spesso durante le vacanze, complice il relax che lascia libera la creatività e aiuta ad entrare maggiormente in contatto con se stessi, emergono i propri desideri più autentici, si hanno degli “insight” in merito a ciò che si vorrebbe fare. Dare seguito a queste spinte, canalizzandole all’interno di obiettivi realistici e realizzabili è un ottimo modo per “portare con sé” l’atmosfera magica delle vacanze, creare un ponte con la routine, integrare dovere e piacere.
  • Iniziare un percorso psicoterapeutico: se il malessere che si vive nella fase di rientro alla routine è particolarmente intenso o prolungato probabilmente segnala un bisogno psicologico a cui dare ascolto competente. Ciò che si è lasciato da parte e in stand-by al momento della pausa estiva ha bisogno di essere visto, compreso ed elaborato.

 

Nella mia esperienza...

Mi accade spesso di ricevere richieste di inizio terapia o sostegno psicologico in questo periodo dell’anno, proprio sulla spinta di questa “crisi” che il rientro produce e ri-attiva, andando a toccare corde personali magari a lungo silenziate. In tal senso, la sindrome da rientro mi sembra un’enorme opportunità, una cassa di risonanza per iniziare ad ascoltarsi e a farsi ascoltare.

Gli studenti del quinto anno delle scuole superiori (e le loro famiglie…) sono alle prese, proprio in questi giorni, con le ultime fatiche di un passaggio importante: la maturità! Si tratta di una fase inevitabilmente carica di molte aspettative ed emozioni (prime fra tutte, ovviamente, la famigerata ansia!…), ma anche di un periodo di mutamenti, slanci e contemporaneamente incertezze e dubbi. Al di là delle differenze individuali, una cosa è abbastanza certa: la maturità è un passaggio che rimane nella memoria di ciascuno, come una sorta di netta linea di confine.

E in effetti, chi non ricorda la propria? Chi non se l’è ritrovata almeno una volta, vuoi o non vuoi, protagonista dei propri sogni (o incubi) notturni?! Chi non ha cantato più volte a squarciagola “Notte prima degli esami" di Venditti o sentito nostalgia nell’ascoltarla?! Chi non la utilizza come riferimento temporale per collocare alcuni eventi di quel periodo nel “prima” o “dopo”?

Una curiosità interessante: dall’anno scolastico 1998/1999 la denominazione corretta e ufficiale per l’esame che conclude il ciclo di studi superiori (fornendo al contempo un lasciapassare per l’Università o per altri corsi specialistici di formazione) sarebbe Esame di Stato…eppure la nota locuzione Esame di Maturità è ancora largamente utilizzata nel linguaggio comune, come a volerne a tutti i costi sottolineare l’indissolubile valore simbolico di passaggio e crescita. Ci si aspetta, insomma, che chi giunge a questo traguardo superandolo sia “maturo”.

Come dire, c’è un tempo per tutto…anche per maturare! Sì, ma…cosa significa essere maturi? Maturi per cosa? E soprattutto, può essere un esame a sancirlo? A questo proposito, io vedo l’esame più come un processo di attraversamento che non come un evento puntiforme (del resto, se ci pensiamo, prevede una preparazione e si articola in diverse “prove”): si tratta di muoversi da una sponda all’altra del fiume, di traghettarla.

In questo movimento emotivo di allontanamento e separazione, la dimensione del tempo è fondamentale: si deve salutare la riva conosciuta del tempo in cui tutto era organizzato e codificato (vedi sistema scolastico) per dirigersi verso quella più inesplorata del tempo delle scelte, delle responsabilità e dell’autorganizzazione. Insomma, in un certo senso “all’improvviso” si chiede al ragazzo neomaggiorenne di sapere chi è e cosa vuole nella vita e di agire adeguatamente di conseguenza. Caspita, tutto questo può fare decisamente paura o disorientare! Può venir voglia di non prendere il traghetto (come capita a chi non viene ammesso agli esami, o al quinto anno…”ma come, proprio quando il più era fatto?!”) o di rimanere fermi e spaesati sulla riva appena raggiunta (ragazzi che, nonostante siano riusciti a diplomarsi, si “bloccano” nel processo di crescita e autonomia subito dopo, con sintomi vari).

Quando si sente che il tempo della maturità non è ancora venuto, che non si ha lo slancio per andare con convinzione ed entusiasmo in una direzione, c’è la possibilità di una saggia e coraggiosa decisione: chiedere tempo al tempo, muoversi in esplorazione. L’etichetta che i ragazzi sono soliti dare a questo scenario è quella di “anno sabbatico”, espressione, a onor del vero, riadattata per l’occasione (dato che propriamente indica un tempo preso all’interno di una carriera lavorativa o universitaria, con l’obiettivo di dedicarsi a una precisa attività o ricerca e studio). Il bisogno che sottende questa decisione è però chiaro: prendersi una pausa, attraversare la crisi della crescita e della richiesta di definizioni acquisendo maggiore sicurezza e consapevolezza, riempire lo zaino di cose utili per il viaggio dell’età adulta. Devo dire che mi capita sempre più spesso di incontrare ragazzi che si trovano in questa fase e che mi chiedono di accompagnarli nell’esplorazione, ossia di rallentare la corsa, guardarsi intorno e attraversare quella che può essere percepita come una fitta nebbia con l’ausilio di un percorso psicologico.

In realtà, fermarsi e interrompere il flusso della rapidità e della routine in cui ci si trova immersi può essere una risorsa in diversi contesti e momenti della propria vita: è ciò che si fa in terapia creando nello spazio protetto della stanza una sorta di “sospensione” del tempo, così come è ciò che si tenta di fare andando in vacanza e “staccando la spina”. Ma soprattutto, non dimentichiamo che il tempo è uno strumento anche a scuola: la ricreazione facilita la socializzazione e consente agli alunni una fase di recupero di energie e concentrazione necessarie a seguire le lezioni; la scansione routinaria della giornata scolastica aiuta l’autoregolazione degli alunni, specie dei più piccoli; la pausa estiva è una ricarica e crea un “luogo” da cui osservarsi a distanza, condizione ideale per far emergere desideri, idee e “buoni propositi”, tanto per gli insegnanti quanto per gli alunni.

Diversi possono essere i “motivi” per cui un ragazzo non si sente pronto a intraprendere una strada precisa dopo la maturità: non c’aveva mai pensato prima, oppure era convintissimo del da farsi ma alla soglia della decisione ha “inspiegabilmente” vacillato, o ancora si sente “tirato” da una parte all’altra e fatica a distinguere le sue aspettative da quelle altrui o a deluderle, etc. In tutti questi casi di “immaturità”, una delle cose più mature da fare è forse proprio prendersi una “pausa esplorativa”, in una sorta di sospensione del tempo, che sembra a volte scorrere senza soluzione di continuità dal passato al futuro rendendo inafferrabile l’unica dimensione realmente tangibile e ricca di possibilità: il presente.

E mi viene in mente il tatuaggio che una ragazza (che mi ha chiesto di affiancarla nel “traghettamento”) ha deciso di farsi proprio in occasione del suo 19esimo compleanno e dell’imminente esame di maturità: una bella clessidra avvolta dalla scritta “catch the time!”….