Psicologa Roma by

Gli studenti del quinto anno delle scuole superiori (e le loro famiglie…) sono alle prese, proprio in questi giorni, con le ultime fatiche di un passaggio importante: la maturità! Si tratta di una fase inevitabilmente carica di molte aspettative ed emozioni (prime fra tutte, ovviamente, la famigerata ansia!…), ma anche di un periodo di mutamenti, slanci e contemporaneamente incertezze e dubbi. Al di là delle differenze individuali, una cosa è abbastanza certa: la maturità è un passaggio che rimane nella memoria di ciascuno, come una sorta di netta linea di confine.

E in effetti, chi non ricorda la propria? Chi non se l’è ritrovata almeno una volta, vuoi o non vuoi, protagonista dei propri sogni (o incubi) notturni?! Chi non ha cantato più volte a squarciagola “Notte prima degli esami" di Venditti o sentito nostalgia nell’ascoltarla?! Chi non la utilizza come riferimento temporale per collocare alcuni eventi di quel periodo nel “prima” o “dopo”?

Una curiosità interessante: dall’anno scolastico 1998/1999 la denominazione corretta e ufficiale per l’esame che conclude il ciclo di studi superiori (fornendo al contempo un lasciapassare per l’Università o per altri corsi specialistici di formazione) sarebbe Esame di Stato…eppure la nota locuzione Esame di Maturità è ancora largamente utilizzata nel linguaggio comune, come a volerne a tutti i costi sottolineare l’indissolubile valore simbolico di passaggio e crescita. Ci si aspetta, insomma, che chi giunge a questo traguardo superandolo sia “maturo”.

Come dire, c’è un tempo per tutto…anche per maturare! Sì, ma…cosa significa essere maturi? Maturi per cosa? E soprattutto, può essere un esame a sancirlo? A questo proposito, io vedo l’esame più come un processo di attraversamento che non come un evento puntiforme (del resto, se ci pensiamo, prevede una preparazione e si articola in diverse “prove”): si tratta di muoversi da una sponda all’altra del fiume, di traghettarla.

In questo movimento emotivo di allontanamento e separazione, la dimensione del tempo è fondamentale: si deve salutare la riva conosciuta del tempo in cui tutto era organizzato e codificato (vedi sistema scolastico) per dirigersi verso quella più inesplorata del tempo delle scelte, delle responsabilità e dell’autorganizzazione. Insomma, in un certo senso “all’improvviso” si chiede al ragazzo neomaggiorenne di sapere chi è e cosa vuole nella vita e di agire adeguatamente di conseguenza. Caspita, tutto questo può fare decisamente paura o disorientare! Può venir voglia di non prendere il traghetto (come capita a chi non viene ammesso agli esami, o al quinto anno…”ma come, proprio quando il più era fatto?!”) o di rimanere fermi e spaesati sulla riva appena raggiunta (ragazzi che, nonostante siano riusciti a diplomarsi, si “bloccano” nel processo di crescita e autonomia subito dopo, con sintomi vari).

Quando si sente che il tempo della maturità non è ancora venuto, che non si ha lo slancio per andare con convinzione ed entusiasmo in una direzione, c’è la possibilità di una saggia e coraggiosa decisione: chiedere tempo al tempo, muoversi in esplorazione. L’etichetta che i ragazzi sono soliti dare a questo scenario è quella di “anno sabbatico”, espressione, a onor del vero, riadattata per l’occasione (dato che propriamente indica un tempo preso all’interno di una carriera lavorativa o universitaria, con l’obiettivo di dedicarsi a una precisa attività o ricerca e studio). Il bisogno che sottende questa decisione è però chiaro: prendersi una pausa, attraversare la crisi della crescita e della richiesta di definizioni acquisendo maggiore sicurezza e consapevolezza, riempire lo zaino di cose utili per il viaggio dell’età adulta. Devo dire che mi capita sempre più spesso di incontrare ragazzi che si trovano in questa fase e che mi chiedono di accompagnarli nell’esplorazione, ossia di rallentare la corsa, guardarsi intorno e attraversare quella che può essere percepita come una fitta nebbia con l’ausilio di un percorso psicologico.

In realtà, fermarsi e interrompere il flusso della rapidità e della routine in cui ci si trova immersi può essere una risorsa in diversi contesti e momenti della propria vita: è ciò che si fa in terapia creando nello spazio protetto della stanza una sorta di “sospensione” del tempo, così come è ciò che si tenta di fare andando in vacanza e “staccando la spina”. Ma soprattutto, non dimentichiamo che il tempo è uno strumento anche a scuola: la ricreazione facilita la socializzazione e consente agli alunni una fase di recupero di energie e concentrazione necessarie a seguire le lezioni; la scansione routinaria della giornata scolastica aiuta l’autoregolazione degli alunni, specie dei più piccoli; la pausa estiva è una ricarica e crea un “luogo” da cui osservarsi a distanza, condizione ideale per far emergere desideri, idee e “buoni propositi”, tanto per gli insegnanti quanto per gli alunni.

Diversi possono essere i “motivi” per cui un ragazzo non si sente pronto a intraprendere una strada precisa dopo la maturità: non c’aveva mai pensato prima, oppure era convintissimo del da farsi ma alla soglia della decisione ha “inspiegabilmente” vacillato, o ancora si sente “tirato” da una parte all’altra e fatica a distinguere le sue aspettative da quelle altrui o a deluderle, etc. In tutti questi casi di “immaturità”, una delle cose più mature da fare è forse proprio prendersi una “pausa esplorativa”, in una sorta di sospensione del tempo, che sembra a volte scorrere senza soluzione di continuità dal passato al futuro rendendo inafferrabile l’unica dimensione realmente tangibile e ricca di possibilità: il presente.

E mi viene in mente il tatuaggio che una ragazza (che mi ha chiesto di affiancarla nel “traghettamento”) ha deciso di farsi proprio in occasione del suo 19esimo compleanno e dell’imminente esame di maturità: una bella clessidra avvolta dalla scritta “catch the time!”….