Psicologa Roma by

Uno dei contesti in cui il contributo dello psicologo è sempre più necessario e prezioso è indubbiamente la SCUOLA: luogo affettivo e sociale in cui i ragazzi crescono e vivono oltre che “imparare” e in cui il loro disagio può quindi prendere forma e spazio, ma anche sistema con le proprie regole, obiettivi e organizzazione al cui interno devono trovare collocazione - alla ricerca di un sano e complesso equilibrio - i diversi membri di cui è composta e che le gravitano attorno (alunni, docenti, dirigenti, personale ata, genitori, etc.), nonché istituzione profondamente colpita da anni di politiche disattente.


I possibili livelli di INTERVENTO sono molteplici:

  • individuale (sportelli di ascolto rivolti ad alunni, insegnanti, genitori);
  • gruppo classe (laboratori espressivi, progetti di alfabetizzazione emotiva, integrazione, prevenzione al bullismo, condotte adolescenziali a rischio, etc.);
  • corpo docente (corsi di formazione su comunicazione efficace, didattica inclusiva, psicopedagogia, disturbi dello sviluppo, BES, prevenzione burn-out etc.);
  • gruppo genitori (corsi di formazione su DSA, disturbi dello sviluppo, etc.);
  • sistemico (progetti multi-livello che prevedono cioè un intervento indirizzato a diversi livelli del sistema-scuola, con un focus sulla relazione tra genitori, insegnanti e alunni).

Se pensiamo al disagio presente negli alunni, l’opportunità di intervento a scuola è legata a diversi fattori:

  • innanzitutto c’è un’emergenza importante per quanto riguarda l’incidenza e la pericolosità delle condotte patologiche. Per dare un’idea: l’anoressia-bulimia colpisce circa 200mila ragazze ed è la prima causa di morte nelle adolescenti tra i 12 e i 25 anni, gli incidenti stradali la seconda e gli «agiti autolesivi» la terza (dati Istat); il 16% degli undicenni consuma abitualmente alcol; aumentano gli atti di bullismo a scuola, coinvolgendo un adolescente su cinque (ricerca svolta nell'ambito del progetto comunitario E-Abc Antibullying Campaign).
  • inoltre, molte condotte patologiche e disagi presenti in bambini e ragazzi, nonché gli stessi disturbi dello sviluppo, hanno una forte matrice relazionale e contestuale, per cui è importantissimo agire nella scuola in cui si manifestano e alimentano (e a volte insorgono).


Esiste però anche un sempre più forte disagio degli insegnanti, a volte schiacciati e scoraggiati dalla crescente burocratizzazione del loro ruolo e dalla mancanza di investimenti e riconoscimento sociale, spiazzati dal venir meno del patto di fiducia con le famiglie, in difficoltà nella gestione di classi e alunni “nuovi”, sempre più “interattivi” o portatori di Bisogno Educativi Speciali cui far fronte in modo competente. Insomma, le sfide per gli insegnanti di oggi sono numerose e il possibile contributo di uno psicologo prezioso per:

  • trasformare le spinte oppositive che si generano più o meno consapevolmente (sotto forma di insoddisfazione, passività, atteggiamento critico e distruttivo, creazione di sottogruppi e coalizioni, etc.) attraverso la promozione di senso di appartenenza e collaborazione tra colleghi;
  • allenare le competenze relazionali trasversali (tecniche di comunicazione efficace da “spendere” nella relazione con colleghi, dirigente, alunni, genitori, etc.);
  • fornire strumenti di intervento (tecniche di didattica inclusiva, pedagogia speciale per DSA, etc.) e lettura del contesto e del disagio che diano un senso di autoefficacia agli insegnanti.


C’è anche un disagio dei genitori, nella gestione delle problematiche dei figli e nel rapporto con la scuola, spesso eccessivamente delegata del ruolo educativo e poi attaccata.

Personalmente, in virtù di ciò che vedo quando guardo il mondo della scuola e del tipo di richieste che mi giungono, credo che i progetti multi-livello siano i più efficaci, perché in grado di rispondere alla complessità del sistema, mettendone in relazione i “pezzi”: i genitori devono sì fare gruppo e conoscere più da vicino le problematiche dei figli, ma anche rapportarsi adeguatamente con la scuola, fare squadra con gli insegnanti per proporsi in termini coerenti e affidabili ai ragazzi; gli insegnanti dal canto loro, oltre a superare i sottogruppi tra colleghi e trovare strategie efficaci di gestione della classe, devono riuscire ad aprire una comunicazione più efficace con le famiglie; infine i ragazzi devono trovare uno spazio di crescita e sperimentazione di sé e del gruppo adeguato, in cui le differenze possano venire accolte, sentendo di avere a che fare con adulti affidabili, attenti e partecipi piuttosto che spaventati e difensivamente autoritari. Agire solo su un livello o una parte del sistema è come prendere un antinfiammatorio per un dolore articolare: il sintomo probabilmente si allevierà o passerà del tutto, ma se la sua origine è legata anche a qualcosa di meno localizzato e più sistemico (es.: a una postura scorretta e a un uso insufficiente della muscolatura addominale) è probabile che senza un adeguato allenamento a diversi livelli il problema ricomparirà, magari in un altro punto…

Purtroppo, a fronte di un bisogno crescente dello psicologo a scuola, la sua presenza è lasciata per lo più alla sensibilità e disponibilità dei dirigenti scolastici (che possono attivarsi per finanziarne progetti e iniziative con i fondi per l’autonomia o partecipando a qualche bando regionale, europeo, etc.): in altre parole la figura dello Psicologo Scolastico – diversamente da altri Paesi – in Italia non è prevista come obbligatoria e questo fa sì che la sua presenza sia spesso spot e quindi meno efficace, oppure legata a un’urgenza. E’ facile che in questi casi ci sia una totale “delega all’esperto”, chiamato per risolvere (quasi miracolosamente!) specifiche problematiche: lo psicologo deve analizzare e trasformare tale richiesta per far uscire i committenti (docenti, dirigenti, genitori) dalla posizione passiva in cui si trovano. In altre parole, un cambiamento è possibile solo se c’è una reale disponibilità a mettersi in moto, riprendere potere e responsabilità, rivedere i propri modelli organizzativi e comunicativi lasciandosi guidare dall’”esperto”, il cui ruolo è quello di catalizzatore e non di attore protagonista.


Quando ciò avviene il processo di crescita che si innesca è notevole: ricordo, per esempio, lo stupore e il turbamento di un insegnante che, dopo un role-playing in cui vestiva i panni di un’alunna, riportò forti emozioni di imbarazzo, insicurezza e rabbia “sorprendentemente” vissute durante la simulazione di un’interrogazione difficile. A volte per guardare le cose da un’altra prospettiva (e sentirne quindi poi le emozioni, comprenderne i comportamenti che ne derivano) è necessario cambiare concretamente posizione…per poi tornare alla propria.
Lo psicologo, tra le tante cose, può aiutare a fare questo.

Lo studio della Psicologa Laura Dominijanni a Roma è aperto dal Lunedi' al Sabato. Prenota un appuntamento usando l'apposita sezione Contatti

 

La mediazione familiare è un intervento professionale di cui può usufruire la coppia separata o in via di separazione, qualora espliciti il bisogno di un tempo e di uno spazio appositi per pensare alla riorganizzazione familiare. Durante il percorso, i partner sono incoraggiati e guidati dal mediatore -terzo neutrale- ad elaborare gli accordi che meglio soddisfino i bisogni di tutti i membri della famiglia, con particolare riguardo all’interesse dei figli. L’obiettivo dell’intervento è dunque molto concreto: la messa a punto di un progetto di riorganizzazione delle relazioni genitoriali e degli aspetti materiali dopo la separazione o il divorzio. Gli accordi presi in sede di mediazione dovranno poi essere presentati al giudice per la ratifica ufficiale necessaria.
La Mediazione Familiare si propone quindi come una nuova e specifica risorsa volta a sostenere i genitori in conflitto durante la fase della separazione e del divorzio. Non a caso, nasce e si sviluppa in un contesto storico-sociale nel quale la co-genitorialità rappresenta un ideale da raggiungere, e la giurisprudenza (legge 54/2006) stabilisce l’affido condiviso come modalità elettiva di affidamento, dando al giudice il compito di valutarla prioritariamente.

Relativamente agli aspetti relazionali, i temi più frequentemente discussi sono:
l’affidamento dei figli, l’analisi dei bisogni di genitori e figli, la continuità genitoriale, il calendario delle visite del genitore non affidatario, le vacanze, la regolazione dei tempi e dei modi di frequentazione tra i figli e i componenti delle famiglie d’origine, le scelte educative, la comunicazione della separazione ai figli, la comunicazione tra i genitori, la relazione con gli eventuali nuovi compagni dei genitori, problematiche legate alla famiglia ricostituita, ecc….

Rispetto alle questioni economiche, invece, risultano oggetto di negoziazione tematiche quali:
l’assunzione degli impegni economici per i figli, la determinazione dell’assegno di mantenimento a favore del partner, l’assegnazione della casa coniugale, la divisione dei beni comuni, ecc….

E’ importante sottolineare che, in ogni caso, è la coppia che sceglie le problematiche da negoziare e gli accordi. In altre parole, il mediatore è responsabile del processo che dirige, ma non dei suoi contenuti, in quanto l’obiettivo più importante è che i due ex-coniugi si riapproprino delle proprie competenze genitoriali e decisionali, senza deleghe. Solo così gli accordi presi avranno la possibilità di resistere alla prova del tempo, in quanto realmente condivisi. Troppe, e troppo dolorose per tutti gli attori coinvolti, le storie di separazioni giudiziali, o consensuali che – poggiando su una conflittualità sottovalutata- non reggono la prova del tempo e il confronto con la realtà.
Vorrei invitare a riflettere sui vantaggi che, invece, possono derivare dal seguire un percorso di mediazione familiare. Innanzitutto a livello individuale:
1. maggior stima di sé e dell'altro
2. espressione delle emozioni ed elaborazione del lutto della separazione
3. ridefinizione della propria identità personale
4. analisi delle conseguenze personali derivanti dalla separazione.
Inoltre, a livello relazionale:
1. miglioramento delle capacità comunicative al di là del conflitto
2. riconoscimento dei bisogni di genitori e figli
3. continuità genitoriale e responsabilizzazione del reciproco ruolo genitoriale
4. possibilità di elaborare gli accordi autonomamente (senza deleghe all’autorità giudiziaria) e in modo paritario (senza imposizioni del genitore economicamente o emotivamente più forte).
Infine c’è l’importante e inestimabile vantaggio di vedere tempi e costi (economici ed emotivi) ridotti rispetto alle lunghe e dolorose controversie giudiziarie.

Inoltre, una mediazione ben riuscita svolge anche una funzione preventiva rispetto a future conflittualità, in quanto si propone come luogo di acquisizione, potenziamento e sperimentazione delle capacità negoziali della coppia: quando emergeranno esigenze e circostanze diverse da quelle iniziali (il che è inevitabile, dato che anche il ciclo di vita della famiglia separata va avanti), i due ex-partner saranno in grado di trovare nuove soluzioni autonomamente, con flessibilità.
Un’ultima riflessione riguarda la tangenzialità della mediazione familiare rispetto ad altri tipi di intervento, da cui peraltro si distingue per una serie di importanti aspetti. In particolare, la mediazione
1) non è una terapia
in quanto è centrata sul presente e sul futuro piuttosto che sul passato, sebbene utilizzi alcune competenze e strategie proprie del setting clinico. Inoltre, è un intervento molto strutturato, circoscritto nel tempo (in genere si articola in 8-10 sedute) e con obiettivi pre-definiti (il raggiungimento di accordi specifici, elencati nel “contratto di mediazione” sottoscritto dal mediatore e dai due partner prima di aprire la fase negoziale).
2) non è una consulenza tecnica
in quanto non si pone l’obiettivo di fornire al giudice informazioni sui rapporti esistenti tra il minore e i genitori, né di definire quale sia il migliore genitore affidatario, per cui non produce diagnosi sulle figure genitoriali, né di tipo psichiatrico, né psicopatologico, né relazionale. In altre parole, manca nella mediazione l’aspetto valutativo-diagnostico;
3) non è una consulenza psicologica, né legale
in quanto il mediatore non elargisce consigli, bensì stimola e guida i due partner alla ricerca di opzioni e soluzioni adeguate.

 

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“La separazione non è tanto un’opera e un lavoro individuale,
quanto piuttosto un’impresa di coppia.
Come insieme le persone si sono legate,
così insieme hanno il compito di separarsi” (V. Cigoli)